Il mare dei classici (miti e leggende)

In questa sezione si possono leggere le nostre ricerche sui miti e le leggende legate al mare. Ne abbiamo trovate tantissimi perchè da sempre il mare ha affascinato gli uomini con tutte le sue strane creature. 
Eccone alcuni. Naturalmente iniziamo dal re.

IL MITO DI POSEIDONE
(i disegni sono ancora in fase di rielaborazione....) 

Poseidone, dio delle acque e del mare, figlio di Crono e Rea, sposò Anfitrite dalla quale ebbe tre figli.
La leggenda narra che Poseidone amasse Anfitrite da molto tempo ma che lei si negasse nascondendosi oltre le Colonne di Ercole e che furono i delfini a trovarla e portarla da lui.
Fu uno degli Dei più potenti dell’Olimpo.
Abitava in una casa rilucente d’oro negli abissi del mare Egeo, nella quale si recava su di un cocchio d’oro trainato da cavalli che galoppavano sul pelo dell’acqua, spesso era rappresentato insieme a delfini e con in mano il suo tridente.
I poemi omerici narrano che Poseidone insieme ad Apollo costruì le mura inespugnabili di Troia, per ricompensare il re Leomedonte della sua ospitalità.
La figura di Poseidone trovò anche strette analogie con le divinità sumeriche, che esprimevano profezie collegate al mare.
I Greci grandi navigatori avevano un particolare culto per la massima divinità marina infatti non vi è luogo o città Greca dove non si trovano templi e statue per il Dio che squassava le onde con il tridente.
In suo onore fu costruito un tempio sull’istmo di Corinto.
Il nome di Poseidone viene ricordato e menzionato in molte opere, ricordiamo nell’Iliade dove il Dio del mare si schiera dalla parte dei Greci e in diverse occasioni scende in battaglia contro l’esercito Troiano, interviene a salvare Enea quando il principe Troiano è sul punto di essere ucciso da Achille.
Nell’odissea quando svolge un ruolo importante a causa del suo odio per Odisso, dovuto al fatto che l’eroe ha accecato suo figlio, il ciclope Polifemo.
Le celebrazioni in onore di Poseidone si tenevano all’inizio della stagione invernale, in molte città del mondo greco.
I marinai rivolgevano preghiere a Poseidone perché concedesse loro un viaggio sicuro e talvolta come sacrificio annegavano dei cavalli in suo onore.
Quando mostrava il lato benigno della sua natura Poseidone creava nuove isole come approdo per i naviganti ed offriva un mare calmo e senza tempeste.
Quando invece veniva offeso e si sentiva ignorato allora, colpiva la terra con il suo tridente provocando mari tempestosi e terremoti, annegando chi si trovasse in navigazione ed affondando le imbarcazioni.
La figura di questo Dio mi ha sempre affascinato.

Kuhnreich  Leonard



IL MITO DEL DELFINO
(i disegni sono ancora in fase di rielaborazione....)

Il delfino è un simbolo del mediterraneo fin dall'antichità infatti questi cetacei hanno sempre incuriosito l'uomo. Considerati – di volta in volta – compagni di gioco  o divinità, questi “cugini” delle balene, ancora oggi, nelle tradizioni e culture delle rive mediterranee, vengono rispettati e ammirati. Essi si sono conquistati la simpatia e la popolarità degli uomini in quanto abitualmente si portano sulle scie delle navi, e compiono abili acrobazie.

I delfini furono oggetto di culto soprattutto per le antiche civiltà mediterranee che hanno generato le nostre attuali società e la cui mitologia costituisce una parte importante del patrimonio culturale.
Il loro nome deriva dal greco "delphus" che significa "ventre/grembo" riferendosi al fatto che i delfini sono mammiferi, ed è quindi un simbolo di fertilità.
Con questo nome vengono indicati la maggior parte dei delphinodei. Sono lunghi 2,5 m, veloci e agili nuotatori, si uniscono in gruppi di diversi esemplari. Hanno un cervello molto grande  e in parte  comprendono  il linguaggio dell'uomo.

I Cretesi credevano che i morti vagassero nei limiti del mondo, nelle isole dei Beati,e che i delfini li portassero sul dorso. Per i Cretesi i delfini erano gli dei e venivano adorati come tali.

Il delfino lo incontriamo nella religione egiziana come attributo di Iside: protettrice dei defunti, capace di risuscitarli; incarna il  principio della fecondità e della trasformazione.

Secondo un antico mito greco il patto di amicizia tra delfini e umani era iniziato per via dell' unione di Poseidone, signore del mare, con Melanto, figlia di Deucalione, alla quale il dio si era presentato con le sembianze di un delfino.
Per questo motivo il figlio fu chiamato Delfo, da cui prese nome la città di Delfi

Un'altra spiegazione dell'amicizia tra delfini e umani è legata a Dioniso. Nel corso delle mille avventure e disgrazie subite per affermare il suo diritto alla vita eterna, Dioniso ebbe occasione di chiedere ad alcuni pirati di traghettarlo da Argo a Nasso, ma scoprì poi di essere stato ingannato da costoro che lo volevano vendere come schiavo. Per punirli trasformò i loro remi in serpenti, bloccò la nave in una cortina d'edera e la paralizzò con tralci di vite. Allora i pirati impauriti e impazziti si buttarono in mare trasformadosi in delfini e da quel giorno diventarono soccorritori dei navigatori.

Un'altra storia narrata dai greci racconta  di un giovanissimo studente, che, dopo le lezioni ginniche si tuffava nelle vicine acque nel mare di Laso, insieme con i compagni. Un po’ alla volta, vincendo l’iniziale diffidenza, fece amicizia con un delfino che aveva preso ad assistere ai loro giochi i due cominciarono a nuotare, insieme e a gareggiare l’uno contro l’altro, finchè il ragazzo non imparò a montare il delfino lasciandosi trasportare in lunghe cavalcate tra le onde. Ma un giorno, nel saltare in groppa all' amico il ragazzo si trafisse sull’aculeo della pinna dorsale e morì. Mentre il suo sangue arrossava le acque. Il delfino capì che aveva perso il compagno e, disperato, si gettò sulla spiaggia, facendoci scivolare il colpo del ragazzo, e poi volle morire con lui. In memoria di quella grande amicizia gli abitanti di Laso seppellirono i due con la stessa tomba e ressero sopra su una stele, su cui raffigurato il ragazzo in groppa al delfino.


Nel Cristianesimo è il Cristo ad essere rappresentato sottoforma in delfino: simbolo della trasformazione spirituale del uomo.

Inoltre il delfino è simbolo del pesce in generale.
Nella psicoanalisi quando si presentano nei sogni evoca un momento importante per il sognatore, il suo passaggio ad uno stato evolutivo superiore.

 Pascual Brian e Calcagno Matteo I B


LEGGENDA: PERCHE' IL MARE E' SALATO
(i disegni sono ancora in fase di rielaborazione....)

Il re di Danimarca possedeva delle macine che erano in grado di produrre qualunque cosa, ma erano talmente grandi che nessuno riusciva a utilizzarle.
Un giorno si recò in visita al re di Svezia che gli donò due gigantesse. Egli allora le porto in Danimarca e approfittò di loro per far funzionare le macine.
Le gigantesse chiesero al re se si potevano riposare, ma lui rifiutò. Esse per vendicarsi, invece di produrre ciò che  aveva chiesto il re cominciarono a creare soldati.
Quando i soldati furono pronti, invasero il regno e s’impadronirono delle gigantesse e delle macine.
I soldati avevano bisogno di molto sale nella loro terra e mentre erano a bordo della nave, ordinarono alle gigantesse di macinare sale; ma le gigantesse ne produssero così tanto che la nave affondò, tuttavia esse, che non morirono,  continuarono a macinare.
Ancora oggi nessuno ha detto loro di smettere, per questo il mare e salato.

Tafur Aysha I B

LEGGENDA: PERCHE' I PESCI NON PARLANO


Molti anni dopo il figlio del re di Danimarca decise di rivendicare il regno di suo padre riconquistandolo.
Una volta completata la conquista si accorse che la terra era muta allora pregò il Dio Vianomoien, Dio del canto,  di rimediare; perciò il Dio  ordinò ad ogni animale di trovare un proprio linguaggio.
L‘unico animale che rimase all’oscuro della faccenda fu il pesce che un giorno vide gli animali di superficie aprire e chiudere la bocca, così da quel giorno i pesci cominciarono a iimitare gli altri animali, ed è per questo che  aprono e chiudono la bocca. 

Testo e disegno di Lena Erik



SCILLA E CARIDDI

Nei tempi passati, quando i viaggi per mare duravano anni, i marinai, essendo in balia dei venti e del mare,erano soliti raccontarsi storie trasformando i fondali in luoghi leggendari e popolati da creature mitologiche: tra queste storie vi è quella di: Scilla e Cariddi ambientata nello stretto di Messina; in questo luogo la navigazione presentava grandi difficoltà per la violente correnti e i forti venti creando enormi vortici che terrorizzarono i naviganti.

Scilla era una bellissima ninfa figlia di Tifone (padre di tutti i venti più cruenti e dei più orribili mostri), e di Echidna. Ella si recava a fare il bagno nelle spiagge di Zancle (Messina) e con la sua bellezza fece innamorare il dio marino Glauco, metà pesce e metà uomo, ma l’amore non fu ricambiato. Così Glauco andò dalla maga Circe a chiedere una pozione magica per far innamorare Scilla. Purtroppo Circe essendo innamorata di Glauco e rifiutata dal dio, si arrabbiò e per vendetta inventò una pozione magica contro Scilla da versare nelle acque dove lei nuotava. Appena Scilla si immerse la parte inferiore del suo corpo si trasformò in un terribile mostro con dodici zampe e sei teste, con lunghissimi colli e denti appuntiti. Allora si nascose nella cavità di uno scoglio di fronte alla grotta dove abitava Cariddi e da allora stroncò la vita di molti naviganti.

Cariddi, creatura mostruosa che viveva in uno scoglio situato nello stretto di Messina, era figlia di Poseidone e della Terra. Durante la sua vita di donna aveva dimostrato grande voracità.
Un giorno Cariddi, divorò gli animali di Gerione e per questo fu punito da Zeus con un fulmine che la trasformò in un mostro marino che ingurgitava masse d’acqua con tutto ciò che si trovava in essa, poi vomitando l’acqua assorbita . Ulisse, dovendo per forza attraversare lo stretto di Messina, consigliato dalla maga Circe, preferì passare vicino allo scoglio di Scilla, tuttavia mentre passava tra i due scogli Cariddi risucchiò le acque facendo impallidire i marinai. Era il momento che aspettava Scilla: avventandosi, afferrò sei dei più valorosi Achei e li divorò davanti agli occhi sbigottiti dei compagni. Ulisse, anche questa volta, riuscì a salvarsi aggrappandosi ad una pianta di fico.

Gabriele Maineri e Rita Puhar